Sul licenziamento illegittimo del lavoratore a seguito di denuncia-querela al datore di lavoro.

Il caso.

Una lavoratrice ricorreva in appello avverso la società dove ella lavorava per richiedere, tra gli altri motivi, una dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole per giusta causa.
La società alla base del licenziamento, poneva a carico della donna, di avere presentato una denuncia – querela, soggetta poi a richiesta e decreto di archiviazione emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari, a carico della società datrice di lavoro con accuse dimostratesi insussistenti.
Inoltre il datore di lavoro motivava che il licenziamento era scaturito dal fatto che vi era stata una condotta da parte della lavoratrice idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario ed era stata talmente grave da escludere un altro tipo di sanzione sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
La Corte d’Appello, respingeva il ricorso della lavoratrice, motivando, tra le altre cose, che era irrilevante che, dalla condotta della lavoratrice, non fosse derivato alcun danno all’immagine della società.
Da qui il ricorso in Cassazione che viene, in parte accolto.
La Suprema Corte ha continuità all’orientamento con cui la Corte ha valutato condotte analoghe a quella addebitata alla ricorrente, (ex multis: Cass. sentenze nn. 4125/2017, 14249/2015, 6501/2013) escludendo che la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti nell’azienda possa integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
Ma inoltre, pone attenzione sul fatto che il codice civile sancisce l’obbligo di fedeltà del dipendente al datore di lavoro e all’azienda.
Questo, ovviamente, non vieta al dipendente di poter denunciare illeciti che avvengano da parte dell’azienda poiché questo favorirebbe una sorta di riconoscimento dell’omertà, cosa ovviamente vietata nel nostro ordinamento.
E’ un diritto del dipendente quello di poter sporgere denuncia o querela nei confronti di un superiore per tutelare i propri diritti.

Pertanto, in base alla valorizzazione di interessi pubblici superiori, la sola denuncia all’autorità giudiziaria di fatti astrattamente integranti ipotesi di reato, può essere fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento solo nel caso in cui in cui l’iniziativa sia stata strumentalmente presa nella consapevolezza della insussistenza del fatto o della assenza di responsabilità del datore.

Affinché sorga responsabilità disciplinare non basta, infatti, che la denuncia si riveli infondata e che il procedimento penale venga definito con la archiviazione della “notitia criminis” o con la sentenza di assoluzione, trattandosi di circostanze non sufficienti a dimostrare il carattere calunnioso della denuncia stessa.

Precisa la Corte che la valutazione in ordine alla ricorrenza della giusta causa e al giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo.

Avv. Massimo ROLLA