La normativa di salute e sicurezza sul lavoro, come noto in larga parte contenuta nel c.d. “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008), è connotata da sempre da un principio fondamentale, vale a dire che le responsabilità (come noto potenzialmente anche penali) in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali dipendono non da dati formali – quali lettere o incarichi – ma dalla rilevanza del ruolo che ciascuna persona riveste all’interno dell’organizzazione aziendale (si veda quanto oggi esplicitato dall’articolo 299 del d.lgs. n. 81/2008 in merito all’”esercizio di fatto di poteri direttivi” da parte di datore di lavoro, dirigente e preposto).

In particolare, chi sia investito in una qualunque azienda di compiti tali da gestire – pur sempre nell’ambito delle linee strategiche dettate dagli organi di vertice – una articolazione o una funzione aziendale con autonomia e potere decisionale sarà per ciò stesso considerato a fini di salute e sicurezza sul lavoro come un “dirigente”, vale a dire come un soggetto tenuto per legge alla corretta e integrale applicazione degli obblighi dal d.lgs. n. 81/2008 riferiti a tale figura prevenzionistica. Volendo essere sintetici, è la rilevanza della collocazione all’interno dell’organigramma aziendale – in quanto si richiede al titolare di funzioni apicali di garantire l’attuazione delle strategie aziendali dirigendo una unità produttiva o una funzione aziendale autonoma – che determina ex lege l’attribuzione di una posizione a fini di salute e sicurezza, anche se tale circostanza di fatto non sia accompagnata da una formalizzazione dell’incarico.

In tale logica, ciò che si chiede al datore di lavoro di qualunque azienda, pubblica o privata, è di organizzarsi attribuendo compiti prevenzionistici di tipo dirigenziale a soggetti in grado di svolgerli in modo efficace e, al contempo, conferendo ad essi poteri di gestione e di spesa adeguati all’incarico di fatto conferito; in tal modo detti poteri potranno essere svolti in modo adeguato dal dirigente rispetto alla necessità di garantire la tutela della salute e sicurezza degli operatori che alla struttura o alla funzione aziendale di riferimento afferiscano (e che a loro volta dovranno attenersi alle scelte di tipo organizzativo del dirigente). Tale attribuzione di compiti è di per sé stessa sufficiente a determinare l’obbligo del dirigente di garantire l’attuazione delle attività di cui all’articolo 18 del d.lgs. n. 81/2008 e, in caso di violazione, è a fondamento della potenziale responsabilità del medesimo in caso di infortunio o malattia professionale. Non a caso la giurisprudenza considera irrilevante – per attribuire la responsabilità di “dirigente” a un soggetto obbligato – l’inquadramento contrattuale del lavoratore (per un caso di condanna di una impiegata come “dirigente” a fini di salute e sicurezza sul lavoro perché esercitava giornalmente e di fatto attività di organizzazione e direzione tipiche del dirigente si veda Trib. Firenze, 17 dicembre 2015, disponibile in Olympus.uniurb.it) condannando talvolta come tale addirittura soggetti nemmeno appartenenti all’organizzazione aziendale (come, ad esempio, consulenti) ma che in concreto si siano comportati come “dirigenti” violando disposizioni obbligatorie per tale figura (si veda, per tutte, Cass. pen., sez. IV, 14 marzo 2007 n. 21585).

Tutto quanto premesso, è consentito alle organizzazioni complesse di adottare – alle condizioni specificamente puntualizzate dall’articolo 16 del d.lgs. n. 81/2008 – un atto ricognitivo di tali compiti e poteri che prende il nome di delega. Si tratta di uno strumento di corretta e più efficace gestione della salute e sicurezza sul lavoro, che permette – attraverso la descrizione dei poteri di fatto già conferiti – a chi è maggiormente vicino alle situazioni di rischio e può intervenire per prevenirle o limitarle di perseguire in modo efficace l’abbattimento dei rischi di infortuni e malattie professionali in ambiente di lavoro. La delega è, altresì, atto di informazione verso i terzi rispetto ai poteri di gestione e spesa che l’organizzazione conferisce ai dirigenti, rendendo possibile che coloro che abbiano rapporti con l’organizzazione siano edotti specificamente del possesso dei poteri di tipo prevenzionistico in capo al delegato; pertanto, ad essa va conferita adeguata pubblicità.

Una volta che il datore di lavoro abbia deciso di avvalersi di tale strumento, egli sarà tenuto a garantire che la delega abbia tutti i requisiti elencati e descritti all’articolo 16 del d.lgs. n. 81/2008 (compresa la firma del delegato), pena l’inefficacia della delega stessa, e a vigilare sul delegato, per verificare che egli svolga in modo efficace i compiti affidati. La circostanza che alla delega, se correttamente conferita e attuata, corrisponda una responsabilità penale del delegato in luogo di quella del datore di lavoro delegante non è, dunque, lo scopo dell’istituto quanto la corretta conseguenza dell’utilizzo – conforme ai dettati di Legge – dello strumento in parola da parte del datore di lavoro il quale, dopo avere conferito al delegato poteri che originariamente erano i propri e sempre che abbia vigilato sull’operato del delegato, non può essere chiamato a rispondere a titolo di responsabilità penale (la quale sarebbe in questo caso oggettiva) del fatto del delegato (si vedano, per tutte, Cass. pen., sez. III, 12 aprile 2005 n. 26122, e, tra le ultime, Cass. pen., 31 maggio 2017, n. 27310).

Lorenzo FANTINI