La circostanza che il d.lgs. n. 81/2008 non preveda tra i soggetti del sistema di prevenzione aziendale (che comprende, invece, figure sicuramente “interne” all’organizzazione aziendale quali i lavoratori, i preposti, i dirigenti e il datore di lavoro e altre che possono essere “esterne”, quali il medico competente e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) il consulente che si occupi di aiutare l’azienda nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro – e non ne identifichi le relative responsabilità – non significa affatto che, a determinate condizioni, tale soggetto non possa essere chiamato a rispondere in termini civili o, addirittura, penali del proprio operato.

Lo ricorda autorevolmente Cass. pen., sez. IV, 25 giugno 2015, n. 26993, in relazione alla posizione di un consulente che collabora alla redazione del documento di valutazione dei rischi e che viene indagato – per concorso di colpa con il datore di lavoro – in quanto non segnala al datore di lavoro di una azienda agricola le condizioni di pericolosità di un mezzo agricolo che, proprio per questa ragione, causa lesioni personali gravissime. In particolare, nella sentenza in parola si legge che: “tanto la dottrina che la giurisprudenza di legittimità ritengono che una posizione di garanzia -presupposto essenziale ancorché non esclusivo dell’imputazione di un evento illecito in forza della regola della ‘causalità equivalente’ di cui all’art. 40 cpv. cod. pen. – possa essere costituita oltre che dalla legge e più in generale da fonti di diritto pubblico, anche dal contratto”. Di conseguenza, prosegue la Suprema Corte, in questo caso il professionista va condannato per lesioni in quanto “assunse su base contrattuale – ancorché priva di forma scritta – il compito di collaborare con il M.M. (n.b.: il datore di lavoro) nell’attività di risk assessment che esita nella redazione del documento di valutazione dei rischi. Ciò non é in alcun modo in contrasto con la circostanza dell’essere il datore di lavoro unico soggetto gravato dall’obbligo di provvedere agli adempimenti prescritti in tema di valutazione dei rischi; questi, infatti, reca l’intera responsabilità per l’inosservanza dell’obbligo ed é il soggetto attivo di un reato proprio, qual’é quello definito dal combinato disposto, al tempo del fatto, dagli artt. 4 e 89 d.lgs. n. 626/1994 (ed oggi dagli artt. 17, co. 1 lett. a) e 55, co. D.lgs. n. 81/2008). Ma ove la violazione della prescrizione cautelare rappresenti il nucleo di una condotta produttiva di un evento illecito, colui che cooperi con propria condotta agevolatrice alla produzione dell’evento é chiamato a risponderne in forza della previsione dell’art. 113 cod. pen.; e se il suo apporto è di natura omissiva, le condizioni dell’imputazione del fatto anche al cooperante si rinvengono nel combinato disposto dagli artt. 40 cpv. e 113 cod. pen”.

In tal modo la Suprema Corte evidenzia come anche il consulente che supporti un’azienda nella gestione degli adempimenti in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali può avere in parte determinato un evento infortunistico, a condizione che:

  • La prestazione resa sia stata di livello non adeguato rispetto alla diligenza che è richiesta a chi esercita una attività di tipo professionale (la “diligenza del professionista” di cui all’articolo 1176 del codice civile);

  • Sia riscontrato in giudizio che qualora la prestazione fosse stata resa in modo corretto la misura di prevenzione che il consulente avrebbe avuto cura di indicare (in questo caso, ad esempio la “messa in sicurezza” dell’attrezzatura o, in difetto, il suo “fermo”) avrebbe potuto evitare l’evento infortunistico invece realizzatosi.

Un richiamo, dunque, chiarissimo alla necessità che chi svolge un compito delicato come è quello di indicare al datore di lavoro come tutelare i lavoratori da infortuni e malattie lo faccia con l’attenzione richiesta dalla complessità dell’incarico. Tale attenzione, se non può che essere declinata in termini generali (e, quindi, valutata caso per caso dal Giudice secondo criteri di ampia discrezionalità), implica ampie conoscenze “tecniche” e notevole applicazione al consulente e ciò anche, va detto, prescindendo da qualunque elemento di difficoltà fattuale – quale per tutti il mancato pagamento della prestazione, pure possibile e importante nella realtà di tutti i giorni – rispetto all’esecuzione dell’incarico ricevuto e accettato.

Lorenzo FANTINI