Le novità del d.lgs. n. 17/2019 e nelle recenti sentenze in materia

Il decreto legislativo 19 febbraio 2019, n. 17, di seguito d.lgs. n. 17/2019, ha lo scopo di “armonizzare” l’ordinamento giuridico italiano alle disposizioni del regolamento (Ue) n. 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, in materia di dispositivi di protezione individuali (DPI). L’intervento legislativo ha lo scopo di semplificare e chiarire il quadro regolatorio italiano vigente, a partire dal d.lgs. n. 81/2008, favorendo la diffusione e vendita di DPI ancora più sicuri ed efficaci.

Se, infatti, la fonte comunitaria (il Regolamento) non avrebbe avuto – per sua natura – bisogno di un atto avente valore di legge per operare in Italia (cosa, invece, necessaria rispetto alle direttive, fonti che necessitano di un provvedimento di recepimento da parte dei Paesi UE), era comunque opportuno chiarire, cosa che ha fatto il d.lgs. n. 17/2019, in quali termini il Regolamento DPI abbia “impattato” sulla vigente normativa. Dal punto di vista pratico il decreto legislativo in commento conferma e, anzi, rende più severi gli obblighi a carico dei costruttori e dei distributori dei DPI, aumentando notevolmente le sanzioni in caso di inosservanza dei rispettivi inadempimenti, e apporta modifiche meno numerose ma in ogni caso rilevanti agli obblighi degli utilizzatori dei DPI, quali individuati dal d.lgs. n. 81/2008.

In estrema sintesi, è possibile evidenziare che il provvedimento citato ha:

– Sostituito integralmente (articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto) l’articolo 1 del d.lgs. n. 475/1992 statuendo che le norme di questo ultimo decreto si applicano ai DPI di cui all’articolo 2 del regolamento n. 2016/425 e che, quindi, per le definizioni occorre fare riferimento a quanto previsto dall’articolo 3 del Regolamento. Pertanto, rientrano appieno nella nuova disciplina i DPI appartenenti alle tre categorie previste nell’allegato I del regolamento, progettati e fabbricati per essere indossati o tenuti da una persona per proteggersi da uno o più rischi per la sua salute o sicurezza, i componenti intercambiabili dei DPI essenziali per la loro funzione protettiva, nonché i sistemi di collegamento per i citati dispositivi;

– Dal punto di vista pratico, va sottolineato come molti DPI che prima potevano essere “classificati” come di seconda categoria, sono stati inseriti nel novero dei DPI di terza categoria (c.d. “salvavita”); ciò implica che non basterà la loro fornitura bensì che i lavoratori che ne facciano uso debbono essere addestrati al riguardo (atteso che, come noto, l’articolo 77, comma 5, del d.lgs. n. 81/2008 prevede che per i DPI di terza categoria sia sempre obbligatorio l’addestramento dell’utilizzatore);

– Puntualizzato che le nuove disposizioni si applicano ai DPI che, secondo il citato regolamento n. 2016/425, sono «(…) nuovi sul mercato dell’Unione al momento di tale immissione sul mercato, vale a dire i Dpi nuovi di un fabbricante stabilito nell’Unione oppure i Dpi, nuovi o usati, importati da un Paese terzo”. In questo modo viene, almeno sulla carta, potenziato il controllo sui prodotti “fatti circolare” nella UE, i quali devono essere marcati CE e in possesso dei requisiti che l’Unione europea chiede ai costruttori di garantire. Lo scopo è anche tutelare i datori di lavoro nella fase di acquisto e di impiego, mettendogli a disposizione DPI moderni ed efficaci, “garantiti” dal soggetto che ha apposto la marcatura CE;

– L’articolo 4 del Regolamento prevede che i Dpi possono essere immessi sul mercato «(…) solo se, laddove debitamente mantenuti in efficienza e usati ai fini cui sono destinati, soddisfano il presente regolamento e non mettono a rischio la salute o la sicurezza delle persone, gli animali domestici o i beni».

– L’articolo 3, comma 1, n. 2, stabilisce che per “messa a disposizione sul mercato” s’intende «la fornitura di Dpi per la distribuzione o l’uso sul mercato dell’Unione nell’ambito di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito». Viene in questo modo ribadito che chiunque metta a disposizione di terzi (si pensi ad un datore di lavoro committente che li fornisce ai lavoratori dell’impresa appaltatrice), anche non a titolo oneroso, un DPI, ne “garantisce”, come se fosse direttamente il costruttore, i requisiti di salute e sicurezza sul lavoro e di manutenzione in efficienza.

– L’Articolo 2 del d.lgs. n. 17/2019 si occupa di “armonizzare” gli articoli 74 e 76 del d.lgs. n. 81/2008 con il Regolamento, innanzitutto ribadendosi (articolo 76) che i DPI devono essere conformi al Regolamento n. 2016/425 e non più al d.lgs. n. 475/1992. Restano confermati i seguenti principi applicabili ai DPI, i quali devono: essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore; essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro; tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità. Inoltre, in caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.

Restano, invece, del tutto immutati gli obblighi del datore di lavoro rispetto ai DPI, quali positivamente individuati all’articolo 77 del d.lgs. n. 81/2008. Quindi, il datore di lavoro deve comunque effettuare l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi e d’individuare le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi, tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi Dpi.

– Dove il d.lgs. n. 17/2019 è intervenuto in maniera massiccia è stato sul regime sanzionatorio rispetto a tutti gli operatori, a partire dai produttori. Ad esempio, l’articolo 14 del d.lgs. n. 475/1992, come modificato nel 2019, prevede ora che il fabbricante che produce o mette a disposizione sul mercato DPI non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato II del Regolamento DPI nonché l’importatore che immette sul mercato dispositivi non conformi ai requisiti suddetti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 8 mila euro sino a 48 mila euro se si tratta di DPI di prima categoria, mentre se si tratta di DPI di seconda o terza categoria sono previste sanzioni penali. Altre importanti sanzioni sono previste anche a carico dei distributori e, comunque, di «chiunque» metta a disposizione sul mercato DPI non conformi alle nuove disposizioni.

– Il d.lgs. n. 17/2019 prevede, inoltre, che chiunque (compresi, quindi, gli importatori) appone o fa apporre marcature, segni e iscrizioni che possono indurre in errore i terzi circa il significato o il simbolo grafico, o entrambi, della marcatura CE ovvero ne limitano la visibilità e la leggibilità, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da mille euro sino a 6 mila euro. La sanzione è applicabile anche a chi promuova la pubblicità di detti prodotti “ingannevoli”.

– È stata anche introdotta la possibilità per il trasgressore di sanare gli illeciti penali utilizzando lo strumento della prescrizione obbligatoria di cui al d.lgs. n. 758/1994 (articolo 20 e seguenti), in tutti i casi in cui sia prevista la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda.

– Dal punto di vista delle disposizioni finali e transitorie, viene specificato come è da intendersi abrogato il d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 10 e come ogni riferimento legislativo alla direttiva n. 89/686/Cee, abrogata dal Regolamento (Ue) n. 2016/425, si intende fatto a quest’ultimo, anche tenendo conto della apposita tabella di coordinamento contenuta all’ Allegato X del Regolamento.

La materia dei DPI ha avuto, quindi, una assai significativa evoluzione la quale, per quanto non rivoluzioni la materia, potrebbe avere anche effetti sugli orientamenti della Magistratura, una volta che sarà chiamata a confrontarsi con la rinnovata regolamentazione. Al riguardo, appare opportuno richiamare qualche indirizzo giudiziale consolidato in materia, quale, ad esempio, quello per cui i DPI vanno scelti e forniti in modo che essi siano esattamente quelli che lo “stato dell’arte” richiede, senza errori o omissioni (dovuti a una erronea valutazione dei rischi). Ad esempio, Cass. pen., sez. IV, 23 gennaio 2015, n. 3266, si occupa del caso di un DPI che non può essere usato in quanto l’azienda non ha avuto cura di acquistare DPI di taglia diversa tenendo conto della diversità fisica delle persone (si trattava di un guanto di protezione in ferro, usato in macelleria), con la conseguenza che esso non viene usato da una lavoratrice perché troppo grande per la sua mano. Essendoci stato un taglio alla mano priva di DPI la Suprema Corte in questo caso condanna il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e il datore di lavoro per la scelta erronea del dispositivo. Occorre, quindi, la massima attenzione in ordine alla analisi delle caratteristiche del DPI e bisogna fare in modo che l’azienda controlli costantemente che il prodotto abbia le caratteristiche (paradossalmente, anche solo rispetto alle “taglie” disponibili) per proteggere adeguatamente i lavoratori che ne abbiano bisogno.

Una volta che il DPI sia stato correttamente scelto e fornito al lavoratore occorre, peraltro, che venga garantita la manutenzione del dispositivo e il controllo della loro efficienza. Come ribadito da Cass., Sez. Fer. Pen., 10 agosto 2016, n. 34782, “Il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire ai lavoratori i “necessari ed idonei” dispositivi di protezione individuale e la nozione di idoneità implica, in osservanza di un elementare canone di effettività dell’azione precauzionale, l’esercizio di una costante e doverosa verifica, da parte del datore di lavoro, in collaborazione con il lavoratore, circa lo stato di usura e di effettivo impiego dei presidi antinfortunistici, di cui i dipendenti siano stati dotati. Il controllo che il datore di lavoro deve esercitare sull’operato dei dipendenti, affinché non si verifichino infortuni sul lavoro, non può risolversi nella messa a disposizione dei presidi antinfortunistici e nel generico invito a servirsene”. Il mancato rispetto di tali obblighi di verifica e controllo può essere, in altre parole, alla base di una condanna penale (come accaduto nel caso analizzato da Cass. Penale, Sez. III, 30 agosto 2012, n. 33520, in cui un datore di lavoro viene condannato perché i lavoratori erano “muniti di cinture di sicurezza inadeguate in quanto dotate di funi di trattenuta logore e quindi inidonee a garantire la resistenza in caso di caduta del lavoratore”).

Una volta che il lavoratore abbia avuto il DPI, sia stato informato su come e quando esso debba essere usato e non lo usi è del tutto pacifico che tale comportamento possa avere valenza disciplinare potendo portare – seguendo pur sempre le procedure che debbono essere osservate per la contestazione disciplinare in materia di lavoro (articolo 7 della legge n. 300 del 1970, anche nota come “Statuto dei lavoratori”) – al licenziamento del lavoratore ripetutamente inadempiente (in questo senso, per tutte, Cass. lav., 12 novembre 2013, n. 25392, e Cass, lav., 5 agosto 2013, n. 18615).