Un obbligo non solo per l’azienda ma anche per il lavoratore

La formazione è misura di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali assolutamente essenziale, soprattutto ove si consideri che la massima parte degli infortuni derivano dai cosiddetti “comportamenti pericolosi” dei lavoratori, come tali intendendosi le condotte imprudenti, negligenti, distratte del lavoratore che causano (o, almeno, concorrono in parte a causare, unitamente ad altri fattori) l’evento dannoso.

Non a caso il d.lgs. n. 81/2008 definisce (all’articolo 2, comma 1, lettera aa) la formazione come segue: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi” e la regolamenta in modo ampio, sia direttamente con la legge che per mezzo degli Accordi in Conferenza Stato-Regioni, chiamati a dettare regole di “dettaglio” (identificazione dei requisiti dei soggetti formatori e dei docenti, numero minimo di ore di formazione, contenuti dei percorsi formativi ect.) rispetto ai diversi percorsi educativi previsti.

La formazione è, peraltro, esattamente la materia in cui si esprime in modo esemplare uno dei cardini della salute e sicurezza sul lavoro di matrice “europea” (vale a dire effetto della attuazione in Italia delle direttive comunitarie in materia), quale è regolata nel nostro Paese prima tramite il d.lgs. n. 626/1994 e di seguito per mezzo del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro: il principio della partecipazione dei lavoratori non solo alla tutela prevenzionistica ma anche alla ripartizione degli obblighi di riferimento. In altre e più semplici parole, la formazione è obbligo che grava su tutti i componenti della compagine aziendale, compreso il lavoratore, e finanche su chi, da “esterno” (RSPP e medico competente su tutti), supporta le imprese rispetto a una completa e corretta attuazione degli obblighi prevenzionistici.

Volendo limitarci ai soli lavoratori e schematizzando, secondo il d.lgs. n. 81/2008:

  • Il datore di lavoro e il dirigente (articolo 18) devono garantire la formazione di tutti i propri lavoratori (come previsto dall’articolo 37, comma 1) in modo che essa avvenga durante l’orario di lavoro e senza vincoli economici a carico dei lavoratori (come imposto già dalle direttive comunitarie e ribadito dall’articolo 15, comma 2, del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro);

  • I lavoratori devono partecipare ai corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro organizzati dall’azienda per espressa previsione dell’articolo 20, comma 2, lettera h), del “testo unico”, essendo tale partecipazione un vero e proprio obbligo giuridico a carico del lavoratore con tanto di contravvenzione (la quale prevede la pena dell’arresto fino a un mese o dell’ammenda da 245,70 a 737,10 euro [Art. 59, co. 1, lett. a], del d.lgs. n. 81/2008) in caso di violazione.

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. lav., 7 gennaio 2019, n. 138, disponibile in www.Olympusuniurb.it) ha affrontato il caso di un lavoratore che non si è presentato – senza alcuna motivazione – al corso di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e per tale ragione ha avuto un richiamo disciplinare, con conseguente sanzione irrogata nel rispetto delle procedure di legge di cui all’articolo 7 della legge n. 300 del 1970.

Nonostante il provvedimento, nuovamente convocato, il lavoratore non partecipa al corso senza giustificarsi in alcun modo e viene per questo ancora una volta sanzionato.

Alla terza convocazione, ancora una volta senza presentazione in aula (né motivazione rispetto alla mancata presenza), il lavoratore riceve la terza contestazione disciplinare in un arco temporale di circa un anno e viene licenziato.

Occupandosi del caso – in quanto il lavoratore impugna il licenziamento innanzi al Giudice del lavoro prima e successivamente davanti alla Corte di Appello – la Suprema Corte evidenzia come la condotta del lavoratore configuri una “recidiva specifica” rispetto a obblighi sul medesimo gravanti e non rispettati. Per questa ragione le contestazioni dell’azienda vengono ritenute fondate e il licenziamento viene definitivamente confermato. Viene in questo modo autorevolmente confermato come anche il lavoratore ha precisi obblighi rispetto alla formazione, dovendosi mettere a disposizione dell’azienda per una attività educativa particolarmente importante per la sua stessa salvaguardia, circostanza che rende legittima – per non dire doverosa – l’azione disciplinare dell’azienda nei suoi riguardi. Infatti, non si può tollerare che la formazione non sia stata erogata aumentando in tal modo il rischio di comportamenti imprudenti – dettati dalla ignoranza del lavoratore rispetto ai rischi delle proprie mansioni e alle misure di prevenzione da adottare nel corso delle attività giornaliere – del lavoratore, tali da innalzare il rischio di infortuni e malattie professionali.

Lorenzo FANTINI