La sentenza n. 40702 del 7 settembre 2017 della Suprema Corte di Cassazione, Sez. Penale, evidenzia il problema, ancora piuttosto comune, della violazione delle norme antinfortunistiche commesse dal datore di lavoro ai danni dei lavoratori; nel caso di specie, una condanna per omicidio colposo aggravato.

La Corte di Appello di Brescia, confermava la sentenza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Bergamo la quale aveva ritenuto responsabili i datori di lavoro per omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche per aver cagionato la morte di un loro lavoratore precipitato da un ponteggio alto all’incirca 6 metri.

Il particolare la colpa era stata individuata sia genericamente per negligenza, imprudenza ed imperizia e sia nello specifico poiché gli stessi non avevano adottato le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori in violazione degli artt. 112, 126, 128 e 136 del D.lgs.vo n. 81 del 2008.

In particolare poi individuavano l’omesso allestimento di un ponteggio posto sul lato dell’edificio in ristrutturazione dove il lavoratore stava effettuando la sua attività, con sufficienti apprestamenti di sottoponti e scalette di accesso ai vari piani, nonché l’omessa dotazione al piano di calpestio inclinato, che presentava una ‘luce libera’ di circa un metro di ampiezza tra il piano medesimo ed il corrente superiore, del medesimo ponteggio munito di idoneo parapetto costituito da corrente intermedio e da una tavola fermapiede.

Come sappiamo, i ponteggi sono dispositivi di protezione collettiva, sono strutture temporanee non facenti parte integrante della costruzione, ma allestite o impiegate per la realizzazione, la manutenzione e il recupero di opere edilizie. E, come sappiamo attraverso anche i tanti nostri articoli dedicati agli infortuni nei lavori in quota sono ancora troppi i lavoratori che cadono da queste opere provvisionali.

Una molteplicità di domande possono essere poste in questi casi particolari; ad esempio:

a) Quali sono le cause dei tanti infortuni gravi o mortali che avvengono ai lavoratori con caduta da ponteggi?

b) A chi competono le responsabilità di questi infortuni?

c) Come è possibile rilevarle a livello processuale?

e) Quando la responsabilità ricade nel legale rappresentante nell’ambito di un’impresa organizzata in forma societaria?

A queste domande risponde la Suprema Corte di Cassazione la quale investita del gravame presentato dai datori di lavoro, legali rappresentanti di una Srl, ha dato una sua interpretazione.

Entrambi gli imputati avevano investito il Supremo Collegio impugnando la Sentenza della Corte d’Appello di Brescia, denunciando una violazione di legge per mancanza di motivazione in ordine alla loro qualifica soggettiva, in principal modo per uno dei due, nonché una violazione di legge per mancato corretto apprezzamento delle dichiarazioni di un unico testimone oculare del fatto, nonché dei riscontri oggettivi di natura medico legale concernenti le ferite riportate dall’infortunato risultate inconciliabili con la sua mera precipitazione al suolo.

La Corte, quanto al primo motivo, ha rilevato che il legale rappresentante della S.r.l., (ed il dato era pacifico al riguardo) è anche il datore di lavoro chiamato ad adempiere agli obblighi prevenzionistici.

Si tratta di principio più volte ribadito dalla giurisprudenza.

Gli ermellini hanno più volte affermato che destinatario della normativa antinfortunistica, nell’ambito di un’impresa organizzata in forma societaria, è sempre il legale rappresentante, qualora non siano individuabili soggetti diversi obbligati a garantire la sicurezza dei lavoratori.

Inoltre viene specificato, che in tema di prevenzione infortuni, se il datore di lavoro è una persona giuridica, destinatario delle norme, è il legale rappresentante dell’ente imprenditore, quale persona fisica attraverso la quale il soggetto collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive.

Pertanto la sua responsabilità penale, in assenza di valida delega, è indipendente dallo svolgimento o meno di mansioni tecniche, attesa la sua qualità di proposto alla gestione societaria specificando inoltre che il legale rappresentante non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica, in quanto tale condizione lo obbliga al conferimento a terzi dei compiti in materia antinfortunistica.

Riguardo al secondo motivo del ricorso, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, entrambi i giudici di merito con un’ampia ed articolata motivazione, pur dando effettivamente atto che delle modalità di caduta del lavoratore nessuno poteva riferire, non avendo alcuno assistito all’infortunio, sono pervenuti ad una completa ricostruzione del sinistro specificando espressamente le modalità di caduta dal ponteggio del lavoratore.

Hanno inoltre chiaramente dato atto delle prospettazioni difensive tese ad avvalorare una diversa ricostruzione, spiegando con dovizia di argomentazioni, fra cui l’incompatibilità delle lesioni subite dal lavoratore con una caduta da appena un metro di altezza, tesi difensiva sostenuta dai consulenti tecnici di parte, l’illogicità e la inaffidabilità di tale versione.

In particolare la Corte di Cassazione ha affermato che le considerazioni del consulente tecnico della difesa non hanno trovato alcun riscontro nelle emergenze processuali e fossero assolutamente incongrue; stessa cosa in ordine alla valutazione di quanto riferito dal testimone.

La Suprema Corte ha osservato come in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità dei testimoni è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell’insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità.

E’ infatti inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dai giudici di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge.

Ed è comunque da escludersi che i giudici di Appello nel caso di specie sia incorsi in manifeste contraddizioni.

Concludono pertanto, rigettando il ricorso, che la sentenza impugnata appare ampiamente motivata ed argomentata – sia sotto il profilo della congruità che sotto quello della logicità – su tutte le questioni devolute, anche in virtù del continuo e puntuale richiamo della motivazione che correda la corposa decisione di primo grado, sia quanto alla ricostruzione storica e logica effettuata, sia quanto alla scelta e alla valutazione degli elementi probatori utilizzati per le singole affermazioni di responsabilità.

Avv. Massimo ROLLA