Il 13 giugno 2017 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 135 (Serie generale) della Repubblica italiana la legge 22 maggio 2017, n. 81 (da non confondere con il d.lgs. n. 81/2008…), recante: “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

Il provvedimento, che nel Capo I introduce interessanti disposizioni a sostegno del lavoro autonomo non imprenditoriale (c.d. “partite IVA”), ha nel Capo II una parte specificamente dedicata alla regolamentazione del lavoro “agile” (spesso individuato tramite la formula inglese smart working) che viene, in tal modo espressamente riconosciuto nell’ordinamento giuridico italiano.

Il Legislatore ha deciso di non considerare tale fattispecie come una nuova tipologia contrattuale ma la ha qualificata come una particolare modalità di svolgimento del lavoro subordinato, basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, dalla utilizzazione degli strumenti informatici e telematici, nonché dall’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali. Infatti, viene previsto che la prestazione lavorativa possa essere eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Per chiunque si occupi di salute e sicurezza sul lavoro tale indicazione comporta, quindi, che la gestione della salute e sicurezza del lavoratore “agile” va equiparata in concreto a quella del lavoratore subordinato, attesa la definizione di “lavoratore” di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 81/2008.

Invero, questa conclusione non sembra avallata dal d.lgs. n. 81/2017 il quale regolamenta la disciplina della salute e sicurezza dello smart working in una disposizione molto breve la quale, a parere di chi scrive, non aiuta a comprendere appieno come gestire la tutela della salute e sicurezza dell’operatore. Infatti, l’articolo 22 della legge in commento prevede testualmente quanto segue: “1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. 2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”.

Una prima lettura della norma porterebbe a pensare che le aziende che decideranno di avvalersi dello smart working debbano solo provvedere all’informativa prevista e a vigilare in ordine al rispetto da parte del lavoratore degli obblighi di cooperazione di cui al secondo capoverso dell’articolo appena riportato. Altra lettura, esattamente opposta, potrebbe portare a ritenere che la fattispecie possa essere regolata dall’articolo 3, comma 10, del d.lgs. n. 81/2008, in quanto trattasi pur sempre di “telelavoro”, con conseguente applicazione delle statuizioni di cui al Titolo VII (videoterminali) del “testo unico” e della disposizione, da considerarsi successiva e speciale, di cui all’articolo 22 del d.lgs. n. 81/2017.

L’opinione di chi scrive – suffragata dalla applicazione delle esperienze di smart working realizzate da aziende di alto profilo e qualità nel recente passato – è che l’articolo 22 del d.lgs. n. 81/2017 sia da considerarsi norma “speciale” e successiva rispetto al d.lgs. n. 81/2008 che introduce una disciplina – la quale è pur sempre da considerarsi differente da quella prevista per il “telelavoro” (perché la legge del 2017 qualifica espressamente la fattispecie come una peculiare modalità del lavoro subordinato, senza citare il telelavoro) – peculiare per l’informativa e il coordinamento, senza che ciò faccia venir meno l’applicazione che il “testo unico” richiede delle misure di tutela (valutazione dei rischi, formazione, addestramento, sorveglianza sanitaria ect.) a favore del lavoro subordinato. Appare ragionevole, in altre parole, che ai lavoratori “agili” trovi applicazione la disciplina “generale” del d.lgs. n. 81/2008, unitamente alle due specifiche previsioni di articolo 22 del d.lgs. n. 81/2017, appena richiamate, con ogni interrogativo legato alle modalità concrete di applicazione delle disposizioni del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro a questa fattispecie, come detto non contemplata dal d.lgs. n. 81/2008. Si pensi, per tutte, alla valutazione dei rischi, la quale non potrebbe comunque essere riferita a tutti gli specifici rischi dei luoghi (considerando che lo smart working si qualifica comunque come un rapporto di lavoro in cui è il lavoratore a scegliere discrezionalmente ove lavorare) in cui il lavoratore potrebbe svolgere la sua attività oppure alla vigilanza sull’operatore, che va garantita e realizzata da datore di lavoro e dirigente (cfr. l’articolo 18, comma 3-bis, del d.lgs. n. 81/2008) con modalità ben diverse dalla vigilanza “fisica” in azienda.

Infine, il comma 2 dell’articolo 23 del d.lgs. n. 81/2017 riconosce espressamente che: Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali”, mentre il successivo comma 3 prevede la “copertura INAIL” anche in caso di infortunio in itinere, anche se solo “quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza” (formula che crea diversi dubbi).

Lorenzo FANTINI